Specie aliene: perché dovremmo pre-occuparcene di più?

Soprattutto in ambito agricolo, siamo abituati a identificare le specie aliene principalmente con nuovi parassiti e patogeni da gestire. Ma il problema è molto più complesso e tutt’altro che da sottovalutare.

Alieno: dal latino “alienus” ovvero “che appartiene ad altri”. Ormai entrato a pieno titolo nel linguaggio tecnico agronomico e ambientale, l’aggettivo sta a indicare specie animali e vegetali che si instaurano in habitat nuovi, diversi da quelli di origine. Questo fatto spesso, anche se non sistematicamente, ha conseguenze nefaste in tempi più o meno lunghi.

Nell’episodio del nostro podcast Fatti di terra dedicato all’argomento, Mario Guario spiega come la diffusione di insetti fitofagi alieni sia favorita dall’assenza di predatori naturali nei nuovi habitat in cui essi si insediano. Le stesse piante che questi insetti danneggiano, non essendo mai entrate in contatto con essi, non hanno avuto modo e tempo di sviluppare eventuali meccanismi di tolleranza o difesa.

Casi noti

Nella maggior parte dei casi, l’introduzione di specie aliene dannose in agricoltura è accidentale e legata ai flussi commerciali. E se oggi gli scambi di merci tra un Paese e l’altro sono molto più intensi di un tempo, la storia ci insegna che già nella seconda metà dell’Ottocento OidioPeronospora e Fillossera solcarono l’oceano Atlantico e raggiunsero l’Europa, con conseguenze devastanti per la viticoltura di allora.

Tra i casi più recenti di “invasioni aliene” possiamo invece citare quelli del moscerino della frutta Drosophila suzukii, della Mosca orientale della frutta Bactrocera dorsalis e della cimice asiatica Halymorpha halys. Ma l’elenco potrebbe proseguire.

Nonostante l’evidente necessità di adottare rigide norme di controllo delle merci per evitare l’ingresso accidentale di specie non native, spesso le restrizioni non vengono messe in atto con sufficiente rigore. Casi di successo da questo punto di vista sono l’Australia e la Nuova Zelanda, dove l’introduzione di specie aliene viene vista come una vera e propria minaccia alla possibilità di sopravvivenza. Le aree geografiche in cui, per contro, si registra il maggior numero di specie aliene insediate sono Europa e Stati Uniti.

Specie aliene e crisi climatica

Inutile dire che la crisi climatica è fortemente coinvolta nel fenomeno, e lo favorisce. Specie provenienti da climi un tempo tendenzialmente più caldi di quelli tipici delle nostre latitudini trovano spesso condizioni favorevoli alla loro diffusione in virtù dell’innalzamento delle temperature e dell’anomala distribuzione delle precipitazioni.

Del resto, la scienza sottolinea che i principali driver dell’introduzione di specie aliene nelle aree a clima freddo e temperato sono proprio il cambio climatico e gli scambi commerciali, mentre nelle aree tropicali è il turismo la principale causa del problema.

Ma, all’opposto, anche i disequilibri generati negli ecosistemi dall’insediamento di specie aliene acuiscono gli effetti della crisi climatica, rendendoli meno resilienti anche e soprattutto a causa dell’erosione della biodiversità.

Guardare il fenomeno sotto una lente diversa

Specialmente per chi lavora nel settore agricolo, l’argomento “specie aliene” diventa quasi sempre sinonimo di “nuovi parassiti o patogeni da combattere”. E indubbiamente il problema è reale.

Ma la questione non si riduce soltanto a questo. Tra gli aspetti un po’ meno dibattuti in agricoltura, tra quelli legati alle specie aliene, vi è il forte rischio di perdita della biodiversità negli ecosistemi in cui esse si instaurano, con danni talora irreversibili. Stando alle più recenti ricerche, un aumento del 20-30% delle specie aliene potrebbe causare una massiccia perdita di biodiversità a livello globale: un valore che probabilmente verrà raggiunto in tempi rapidi, dato che il numero di specie non native introdotte in nuovi ambienti è in costante aumento.

Volendo essere più esaustivi, quali potrebbero essere le conseguenze di una drastica diffusione di specie aliene? Una pubblicazione scientifica del 2020 che vede la firma di un lunghissimo elenco di ricercatori, cosa che spesso accade quando a essere toccati sono argomenti di rilevanza globale e tali da poter seriamente minacciare la sopravvivenza del genere umano, le elenca dettagliatamente. “Le specie aliene invasive distruggono i distretti biogeografici; influenzano la ricchezza, l’abbondanza e la composizione genetica delle specie autoctone, aumentando il rischio di una loro estinzione e modificandone il comportamento; alterano la diversità filogenetica delle comunità; modificano le reti trofiche. Molte specie aliene invasive modificano anche il funzionamento dell’ecosistema e quindi la possibilità di generare servizi ecosistemici, alterando i cicli dei nutrienti e dei contaminanti, l’idrologia, la struttura degli habitat. Questi impatti sulla biodiversità e sugli ecosistemi stanno accelerando e aumenteranno ulteriormente in futuro”.

Che fare?

La pubblicazione prosegue elencando innumerevoli interazioni tra fattori ambientali e antropici che possono modificare l’impatto delle specie aliene sulla biodiversità degli eco e agroecosistemi, per poi concentrarsi sulle misure di possibile adozione per arginare il fenomeno.

Tra queste, misure preventive come i monitoraggi, l’adozione di norme per la biosicurezza a livello di singole nazioni e la collaborazione tra stati; ma anche misure “curative”, come il controllo delle specie aliene (una volta insediatesi) con mezzi chimici, fisici, biologici e, last but not least, tramite l’applicazione di tecnologie proprie del genome editing.