L’Italia è il primo produttore di riso in Europa e un punto di riferimento per lo sviluppo di nuove varietà grazie al miglioramento genetico. In questo articolo esploriamo la storia della risicoltura italiana, l’importanza dell’acqua, gli obiettivi del breeding e il legame con il territorio.
La risicoltura italiana può essere considerata un vanto nazionale. Non solo perché l’Italia è il primo produttore di riso in Europa, ma anche perché in Italia sono state selezionate moltissime nuove varietà di riso, grazie a un’intensa attività di breeding
Accade spesso di sentire racconti di imprenditori che, decidendo di misurarsi con settori produttivi completamente diversi da quelli in cui si sono originariamente cimentati, o in aree geografiche lontane da quelle in cui sono nati e cresciuti, realizzano grandi successi.
Il riso, rispetto all’Italia, ha avuto una storia simile. Specie originaria del Sud-Est asiatico e amante dei climi tropicali e sub-tropicali, giunse in Italia in un’epoca incerta, fatto che ha dato origine a diverse ipotesi sulla sua introduzione nel nostro Paese. Ma per certo sappiamo che nel XV secolo si coltivava riso in Italia.
Transitato forse dapprima dal Sud (dalla Sicilia o dalla Campania, a seconda delle ipotesi), il riso trovò alla fine il suo ambiente ideale nella Pianura Padana, tutt’ora zona di elezione della risicoltura italiana, in particolare nelle province di Pavia, Vercelli e Novara. Questo principalmente in virtù della disponibilità di acqua che caratterizza questi areali.
Con oltre 220.000 ettari investiti a riso e 1,5 tonnellate di granella immesse sul mercato annualmente – dato piuttosto stabile da alcuni anni – l’Italia è il Paese che vanta la maggior produzione di riso in Europa.
Piemonte e Lombardia sono le due regioni in cui si concentra la maggior parte della risicoltura nazionale, ma superfici più contenute, anche se caratterizzate da produzioni di grande qualità, si trovano anche in Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Calabria e Sardegna.
Allargando un po’ gli orizzonti, vale la pena di sottolineare che il riso è il cereale più coltivato al mondo dopo il frumento, di cui quasi uguaglia la produzione, di poco inferiore agli 800 milioni di tonnellate annue per entrambe le colture.
Poiché abbiamo già introdotto il tema dell’acqua associato alla risicoltura, è bene chiarirsi le idee fin d’ora sul suo ruolo nella coltivazione del riso. Molto probabilmente, la prima immagine che molti di noi associano alla risicoltura è proprio quella delle risaie allagate. Un’immagine a cui, peraltro, se ne associano altre fortemente legate alla tradizione agricola italiana, alla figura della mondina e al racconto che della risicoltura nazionale ci ha restituito il cinema, con un capolavoro come il film “Riso amaro”.
Tradizionalmente, anche se esiste la possibilità di seminare il riso in asciutta, ritardando la fase di allagamento, le risaie rimangono sommerse per buona parte del ciclo colturale, sia per ridurre gli sbalzi termici – estremamente dannosi per questa coltura – sfruttando il volano termico esercitato dall’acqua, sia per contrastare lo sviluppo delle infestanti.
La disponibilità idrica in risicoltura è pertanto un elemento chiave. Fondamentale è la realizzazione di opere di canalizzazione che consentano un uso razionale e un reimpiego delle acque prelevate da bacini idrici naturali. In queste condizioni, le risaie sommerse diventano fonte di “ricarica” delle falde.
La sommersione continua e la semina in asciutta non sono le uniche modalità di coltivazione di questa specie. La ricerca e la sperimentazione si concentrano anche su gestioni alternative dell’acqua in risicoltura, come ad esempio l’Alternative Wetting and Drying, ovvero l’alternanza di periodi di sommersione e asciutta. Tra gli effetti positivi di questa gestione idrica vi sarebbe la riduzione delle emissioni di metano dalle risaie, problema tutt’altro che trascurabile in un’ottica di sostenibilità del processo produttivo. Il metano, infatti, la cui emissione da parte delle risaie è favorita dalla decomposizione della sostanza organica del suolo in condizioni anaerobiche, è un gas a effetto serra.
La gestione dell’acqua in risicoltura è quindi strettamente legata al tema del cambiamento climatico, sia perché lo può influenzare, sia perché ne è influenzata. L’irregolarità delle precipitazioni che ormai caratterizza le annate agrarie rappresenta talora un problema anche per i risicoltori. Problema alla cui soluzione concorre (anche) lo sviluppo di nuove varietà più resistenti a condizioni climatiche non particolarmente favorevoli, come la siccità.
Attualmente in Italia sono coltivate alcune centinaia di varietà differenti di riso, in parte tradizionali e da lungo tempo sul mercato e in parte risultato degli intensi programmi di miglioramento genetico attuati negli ultimi decenni, o meglio nell’ultimo secolo.
Il 2025 è infatti un anno importante per la storia del breeding in risicoltura. Esattamente un secolo fa il professor Giovanni Sampietro, in forze presso la Stazione Sperimentale di Risicoltura di Vercelli, sperimentò e introdusse la tecnica dell’incrocio guidato tra varietà e specie diverse di riso per dare impulso al miglioramento genetico di questa coltura.
L’incrocio, eventualmente assistito da marcatori molecolari, rimane ancora oggi largamente utilizzato nel breeding del riso, ma a questo si sono affiancate altre tecniche, come la mutagenesi indotta e le Tecniche di Evoluzione Assistita o Tea.
Una curiosità: il riso è stato la prima coltura agraria a vedere completamente sequenziato il proprio genoma, nell’ormai lontano 2002.
Vuoi saperne di più sulle Tea? Ascolta l’episodio 08 del nostro podcast Fatti di Terra dedicato a questo argomento
I principali obiettivi del miglioramento genetico del riso, indipendentemente dalle tecniche impiegate, sono:
A proposito dell’ultimo obiettivo citato, vale la pena di ricordare che negli ultimi anni la selezione di nuove varietà di riso si è concentrata, anche in Italia, su quelle adatte all’uso nelle preparazioni di sushi. Una coltura antica che si adegua ai tempi moderni.
Nonostante la risicoltura italiana, in termini di superfici, rappresenti una percentuale davvero esigua di quella mondiale, essa è riconosciuta per la sua eccellenza e avanguardia. E non da oggi, visto che già nel 1787 Thomas Jefferson – che ai tempi non era ancora presidente degli Stati Uniti ma lo sarebbe diventato di lì a pochi anni – giunse in Italia per “spiare” i segreti della sua risicoltura.
Una storia avvincente, che vi raccontiamo nell’episodio 38 del nostro podcast Fatti di Terra.
Se c’è un aspetto “collaterale” – ma non per questo di secondaria importanza – dell’attività agricola di cui oggi si parla moltissimo, questo è la salvaguardia dei paesaggi in cui l’agricoltura stessa insiste.
La protezione dei paesaggi agricoli, alcuni dei quali di particolare pregio e valore e come tali iscritti nel Registro Nazionale dei Paesaggi Rurali Storici, è un tema di grande attualità per diversi motivi, tra cui i vantaggi che essa può generare per le attività agrituristiche e i risvolti positivi per la società (e l’agricoltore) cui può dare luogo in termini di servizi ecosistemici (argomento che abbiamo approfondito nell’episodio 30 del nostro podcast Fatti di terra).
Anche le risaie disegnano e modellano un paesaggio che può offrire scorci ricchi di fascino e storia ed è proprio sulla base di questa constatazione che sono nati itinerari turistici nelle terre della risicoltura italiana.
Le nostre soluzioni integrate per l’agricoltura sostenibile.
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