I diversi volti della fertilizzazione

Parlare in maniera esaustiva di fertilizzazione significa non fermarsi al semplice concetto di somministrazione di elementi nutritivi alle piante coltivate: c’è molto di più da sapere

Insieme alla difesa e all’irrigazione, la fertilizzazione è tra le tecniche colturali più frequentemente chiamate in causa quando si parla di efficienza e sostenibilità in agricoltura. Il 2022, in particolare, l’ha portata prepotentemente al centro dei dibattiti tra addetti ai lavori (e non solo), per almeno due motivi.
Il primo è la complessità del mercato dei fertilizzanti e delle materie prime necessarie per la loro produzione, su cui pesano la crisi energetica, il conflitto tra Russia e Ucraina, le difficoltà logistiche e l’aumento di consumo interno di concimi da parte di Paesi emergenti. Temi, quelli elencati, affrontati molto approfonditamente da Mariano Alessio Vernì nel secondo episodio dei nostri podcast Fatti di terra.
La seconda è l’entrata in vigore del Reg. Ue 2019/1009, contenente le norme per la libera circolazione dei fertilizzanti all’interno della Ue e che, tra le altre cose, ha riconosciuto la qualifica di concimi ai biostimolanti, prodotti rimasti per lungo tempo in una sorte di limbo legislativo prima dell’approvazione del suddetto Regolamento.

Una tecnica antica

Gli antichi Egizi veneravano il fiume Nilo come una divinità, in quanto le sue piene erano foriere di fertilità per il terreno. Non stiamo facendo un ripasso del programma di storia delle scuole elementari, bensì vogliamo portare l’attenzione dei nostri lettori sul fatto che la ricerca di una maggiore fertilità dei terreni coltivati ha origini antiche.
Il ricorso sistematico all’uso di fertilizzanti, dapprima di origine naturale e successivamente di sintesi, si colloca in tempi molto più recenti e sostanzialmente ha avuto inizio nella seconda metà dell’Ottocento. Ma da allora gli scenari sono profondamente mutati. Non solo è cambiata l’agricoltura, non solo è aumentata enormemente la popolazione mondiale: sono anche intervenuti i cambiamenti climatici a complicare il quadro.

Perché si usano i fertilizzanti?

Semplificando al massimo, possiamo affermare che fertilizzare serva a nutrire le colture, garantendo l’adeguatezza delle rese e della qualità dei prodotti ottenuti. La somministrazione di fertilizzanti può avvenire per via fogliare o radicale, e in questo secondo caso ha lo scopo di restituire al terreno (e rendere successivamente disponibili a nuove colture) gli elementi nutritivi asportati dalle piante durante il loro ciclo colturale e/o migrati verso gli strati profondi per lisciviazione o verso l’atmosfera per volatilizzazione.
Ma in realtà la distribuzione al suolo di fertilizzanti ha molti altri effetti sulle tre fertilità – fisica, chimica e biologica – a seconda del tipo di prodotto utilizzato. Inoltre i fertilizzanti, agendo in sinergia con i fitofarmaci, possono migliorare lo stato fitosanitario della pianta. Possono infine favorire la proliferazione nel suolo di microrganismi utili, in grado di contrastare quelli patogeni.

Si potrebbe fare agricoltura senza fertilizzanti?

Certo, ma i risultati sarebbero disastrosi. Banalmente (ma nemmeno poi tanto) non sarebbe possibile produrre abbastanza cibo per l’intera popolazione mondiale, obiettivo per il cui raggiungimento la fertilizzazione non è l’unico fattore determinante, ma certamente uno dei più importanti.
Qualche numero, tra i tanti reperibili in letteratura scientifica? In questa review pubblicata nel Marzo 2022 si spiega come:

l’uso dei fertilizzanti abbia reso possibile il 50% di aumento della resa delle colture nel XX secolo
la resa media del mais diminuirebbe del 40% senza l’applicazione di fertilizzanti azotati
studi a lungo termine abbiano confermato un calo di resa del grano del 40-57% senza l’applicazione di fertilizzanti.
Pochi ma significativi dati, che ci aiutano a comprendere come, al ritmo di crescita attuale del numero di individui che abitano il nostro pianeta, non sia proponibile correre il rischio di assistere a cali produttivi di queste entità.

La fertilizzazione ha solo pregi?

Come ogni tecnica colturale, anche la fertilizzazione, se mal gestita può dare risultati diversi da quelli attesi ed essere poco eco-compatibile. In particolare, dal punto di vista dell’impatto sui suoli, tra le conseguenze indesiderabili di un uso irrazionale della fertilizzazione si possono citare l’alterazione del pH, la salinizzazione, i disequilibri nella composizione del microbioma, l’inquinamento delle acque profonde, la compattazione, l’erosione.
Inoltre, produrre i fertilizzanti – specialmente quelli di sintesi – ha un elevato costo energetico. E poi ancora, distribuire i fertilizzanti comporta l’uso di mezzi agricoli, con conseguente consumo di carburanti, emissione di gas di scarico e calpestamento del suolo.

Verso una fertilizzazione più sostenibile

Come ridurre l’impatto ambientale della fertilizzazione e incrementarne l’efficienza? Tralasciando considerazioni, comunque sempre valide, che hanno a che vedere con l’uso di buone pratiche agronomiche, vale la pena di ricordare l’importanza di applicare più diffusamente l’agricoltura di precisione e di riciclare sottoprodotti e scarti di varia natura per la produrre fertilizzanti (compost di diversa origine, letami, vinacce, polpino, farina di cane e ossa, borlande…), secondo i canoni della circular economy.

La fertilizzazione per preservare suolo, ambiente e biodiversità

Come sottolinea “The international Code of Conduct for the sustainable use and management of fertilizers”, redatto dalla Fao nel 2019, tanto l’uso eccessivo quanto il sotto-utilizzo di fertilizzanti in agricoltura comporta rischi. E tra quelli legati alla distribuzione di dosi troppo basse di fertilizzanti vi sono il depauperamento dei terreni e le scarse rese, che portano a utilizzare a scopo agricolo terreni occupati da vegetazione spontanea e boschi, con impatti negativi sull’ambiente e la biodiversità. Il documento, estremamente dettagliato e ampio, traccia linee guida per la produzione, la commercializzazione e l’uso dei fertilizzanti, rivolte a tutti gli attori delle filiere agricole: ricercatori, legislatori, industria, utilizzatori. E identifica l’uso sostenibile dei fertilizzanti tra i mezzi per facilitare il raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile previsti dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, tra cui la produzione sostenibile di cibo, la lotta alla fame e alla malnutrizione, l’incremento della sicurezza alimentare.
Contribuendo alla salute del suolo, se gestita in modo razionale e sostenibile, la fertilizzazione diventa anche un mezzo per preservare questa risorsa di fatto non rinnovabile, visti i tempi lunghissimi (che vanno da secoli a millenni) necessari per generare pochi centimetri di spessore di terreno fertile. Non per nulla il suolo è al centro di più di uno dei suddetti Obiettivi di Sviluppo sostenibile: l’Obiettivo 2 (“migliorare la qualità del suolo”), il 3 (“ridurre decessi da contaminazione del suolo, delle acque e dell’aria”), il 12 (“ridurre il rilascio di sostanze chimiche in aria, acqua e suolo”) e il 15 (“ottenere un mondo privo di degrado del suolo”).
Un suolo in salute è in grado di filtrare le acque meteoriche, influenzando positivamente la qualità delle riserve idriche sotterranee, e svolge un ruolo fondamentale nella mitigazione del cambiamento climatico: dopo gli oceani, il suolo rappresenta il maggior tank di carbonio a livello globale, con oltre 2.400 Giga tonnellate in esso contenute: quattro volte il carbonio totale presente nella biosfera e tre volte quello presente nell’atmosfera.
Non ultimo, un suolo in salute può generare reddito per l’agricoltore, attraverso la valorizzazione dei cosiddetti servizi ecosistemici.

Siamo ancora convinti del fatto che fertilizzare significhi soltanto nutrire le piante?